Lo scorso Marzo 2019 a Bangkok, in Tailandia, è stato organizzato da movimenti sociali un meeting internazionale dedicato al tema della “giustizia digitale” 1 . Il meeting ha visto la partecipazione di circa sessanta tra attivisti ed accademici provenienti da tutte le parti del mondo.Cédric Leterme2Intervista a Kartini Samon, ricercatrice e rappresentante della regione asiatica dell’ONG GRAINCETRI: Perchè un’associazione che supporta i piccoli agricoltori e le battaglie contadine nel Sud del mondo si ritrova a partecipare ad un incontro sulla “giustizia digitale”?Kartini Samon: In Asia, la maggior parte delle persone ancora vende i propri prodotti direttamente in mercati all’aperto nelle strade. In India, per esempio, questi mercati tradizionali sono la seconda fonte principale di sostentamento subito dopo l’agricoltura. Tuttavia, negli ultimi anni, abbiamo notato che questi mercati si trovano sempre di più a fronteggiare la concorrenza di nuove forme di commercio al dettaglio, spesso chiamate “e-commerce” o “e-grocery”.Allo stesso tempo, siamo coinvolti in un network regionale dedicato al tema del libero commercio. Stiamo assistendo al tentativo dei grandi colossi del mondo digitale di imporre la loro agenda in termini di “e-commerce” e servizi nel contesto dei nuovi accordi di libero commercio. Siamo quindi stati contattati dagli organizzatori di questo incontro per portare la nostra esperienza, dal momento che le relazioni che si sono instaurate tra tecnologia digitale e agricoltura in vari contesti non risultano ancora molto evidenti, nonostante le loro implicazioni siano enormi. Una certa linea di pensiero “positivista” li considera un elemento di progresso e modernità, ma noi tentiamo prima di tutto di documentare tali fenomeni e analizzare cosa significhino queste relazioni nella pratica.CETRI: Nella tua opinione, quali sono i principali impatti della digitalizzazione dell’economia sull’agricoltura?Kartini Samon: Tutto inizia dai semi. Le tecnologie digitali permettono, per esempio, nuove forme di bio-piraterie che oltrepassano le regolamentazioni esistenti a scapito delle comunità locali, indigene, ecc.In secondo luogo, vi sono le minacce connesse allo sviluppo delle vendite online di prodotti agricoli o alimentari. Oltre alle problematiche che questo fenomeno pone ai piccoli produttori o venditori che si ritrovano a competere con un numero crescente di attori – inclusi attori stranieri – vi è anche un problema di regolamentazione più generale o, meglio, di mancanza di regolamentazione. Per esempio, quando si ordinano prodotti alimentari da Alibaba, chi è responsabile della loro qualità? Per il momento, nessuno lo sa.Un terzo aspetto riguarda l’integrazione verticale del settore agroalimentare. Infatti, un numero sempre crescente di compagnie stanno adottando nuove tecnologie per sviluppare le proprie fonti di approvvigionamento – le proprie fabbriche, ad esempio – per minimizzare i rischi economici e sociali associati all’attività agricola a contratto. Le compagnie in questione vogliono assicurarsi che le fabbriche che le riforniscono lavorino in modo efficiente e sicuro, senza dover rispondere a rivendicazioni salariali o a richieste di redistribuzione dei loro profitti.Questo mercato viene sempre più investito da aziende tecnologiche esterne al settore agricolo, come Panasonic e Fujitsu, che hanno sviluppato progetti pilota in questo settore. Questi progetti spaziano dalla locazione di dispositivi e macchine per rilevare i cambiamenti del tempo o per misurare i pesticidi, alla creazione di vere e proprie “fabbriche senza fabbriche”, come quella che ho visitato ad Hanoi, in Vietnam, gestita da Fujitsu per conto di un’azienda giapponese.Viene chiamata “agricoltura di precisione” perché sostengono che possa ottimizzare tutti i parametri (quantità dell’acqua, di pesticidi, ecc.). Nel fare ciò, la vendono come soluzione al cambiamento climatico – in un contesto in cui i contadini sono accusati di sprecare acqua – o come un modo per far fronte a condizioni climatiche sempre più incerte. Ma si tratta di tecnologie estremamente costose che solo le grandi aziende possono permettersi.Queste nuove tecnologie spesso mirano a fornire una clientela relativamente benestante che si dimostra più attenta al tema della salute o della tutela ambientale, facendo perno su un senso di colpa sempre più diffuso nel ceto medio-alto. Questo segmento di popolazione è portato a credere che, comprando questi prodotti ad un prezzo notevolmente più alto in quanto “biologici”, “salutari”, ecc., stiano contribuendo alla salvaguardia dell’ambiente. Questa “agricoltura di precisione” gioca quindi un ruolo di rilievo nell’agricoltura “ecologicamente intelligente”, sempre più promossa su scala globale negli ultimi anni. È veramente impressionante vedere come le persone siano disposte a pagare per questi prodotti, mentre al contempo i piccoli agricoltori sono spinti ad abbassare i prezzi dei loro prodotti… Questa è la ragione per cui Amazon ha comprato Whole Foods, una delle più grandi acquisizioni nel mercato del biologico, che ha trasformato Amazon in uno dei più grandi – se non il più grande – venditore al mondo. L’e-commerce mira ad accaparrarsi ogni mercato nel mondo che possa considerarsi redditizio, incluso il settore agricolo.CETRI: A proposito di ciò, hai parlato sì di minacce di natura economica e sociale, ma anche culturale. Puoi chiarire meglio il concetto?Kartini Samon: Per il momento, questo tipo di agricoltura di precisione esiste prevalentemente in piccole aree in cui crescono frutta e verdura. Non vi è ancora questo tipo di tecnologia disponibile per far crescere colture di base come riso, mais o soia. Per farlo, servono terreni ancora più vasti. Ciò che è certo è che questo tipo di agricoltura rappresenta una minaccia non solo per le condizioni di vita dei piccoli agricoltori, ma anche per la loro cultura, il loro rapporto con la terra, ecc. Ci sembrava ovvio già nel caso dell’agricoltura intensiva e meccanizzata, ma qui si va verso un’agricoltura senza contadini! Un’agricoltura dove sempre più decisioni vengono prese da macchinari o si basano su parametri forniti da macchinari, che portano ad uno stadio di estrema de-umanizzazione e disconnessione tra gli esseri umani e la terra in cui viviamo.Al tempo stesso, si può anche notare che, diventando il mercato del cibo sempre più concentrato e globalizzato, le opzioni disponibili ai consumatori in termini di diversità alimentare tende a diminuire.Fin dalla Rivoluzione Verde, l’obiettivo principale è stato lo sviluppo di colture ad alto rendimento, che sono spesso meno nutrienti e resilienti delle varietà tradizionali. Ovviamente, è più facile per l'industria controllare un piccolo numero di varietà, ma di conseguenza l’intera popolazione sta perdendo sempre più diversità e opzioni alimentari.In questo contesto, la piattaforma globale per la sovranità alimentare rimane importante perché riconosce non solo il diritto degli agricoltori a produrre ciò che vogliono, ma anche il diritto dei popoli a consumare prodotti sani, culturalmente appropriati e coltivati in modo sostenibile. Tutti questi elementi vengono difesi dai movimenti contadini e dalla società civile in generale, ma sono sempre più minacciati dall’industria agroalimentare sia nelle sue forme tradizionali che nelle sue nuove forme tecnologiche, attraverso l’"agricoltura di precisione", l’e-commerce, ecc.CETRI: Che ruolo giocano i dati nel campo dell'agricoltura? Troviamo la stessa logica di appropriazione e sfruttamento come in altri campi?Kartini Samon: Sì, certo, ci sono molti esempi. Uno dei più emblematici è stata l'acquisizione da parte di Monsanto della compagnia di previsioni meteorologiche e assicurazioni “The Climate Corporation” per quasi un miliardo di dollari. Tutti si chiedevano perché Monsanto stesse pagando un prezzo così esorbitante. Il motivo risiede nel fatto che questa azienda disponeva di un enorme database di informazioni sul clima, estremamente utile per il settore agricolo. Ma chi è il proprietario di queste informazioni sul clima? Dal nostro punto di vista, è un bene comune che dovrebbe essere reso accessibile a tutti gli agricoltori per aiutarli nelle loro scelte di coltivazione, rotazione, ecc.Un altro esempio è la proliferazione di applicazioni che consentono, tra le altre cose, l'acquisto di pesticidi online inviando fotografie di piante infette per determinare il prodotto più adatto. Per molti agricoltori, è uno strumento molto utile che li aiuta in modo concreto. Pochi di loro si rendono conto che è anche un modo per rivolgersi a loro in modo molto più efficace rispetto ai metodi di marketing tradizionali. Inoltre, i dati generati da questi scambi e le informazioni fornite dagli agricoltori vengono anche trattenuti dai proprietari di queste applicazioni e rivenduti o utilizzati a proprio vantaggio.Un altro esempio è l'uso di dispositivi di tracciamento e applicazioni nelle piantagioni. Sappiamo che i lavoratori delle piantagioni sono già tra i lavoratori più sfruttati e vulnerabili. Ci sono molti lavoratori migranti, che generalmente non sono coperti dalla previdenza sociale o dal diritto del lavoro. Sempre più spesso, viene loro fornito uno smartphone non appena iniziano a lavorare, in cui è presente un'applicazione per misurare la loro efficacia ed efficienza. Fondamentalmente, è lo stesso principio delle applicazioni di sviluppo personale e di allenamento sportivo che misurano il numero di passi compiuti, la distanza percorsa, ecc. Questo è ovviamente estremamente parziale e pericoloso, perché l'applicazione non tiene conto, ad esempio, dei motivi che possono spiegare perché una persona improvvisamente si muove più lentamente, perché si ammala, perché è successo qualcosa di inaspettato, perché è incinta. Tuttavia, se non rispettano gli standard stabiliti da queste applicazioni, questi lavoratori possono essere licenziati. Inoltre, ancora una volta, i proprietari entrano in possesso dei dati generati da questi dispositivi (su ritmi, percorsi, ecc.) per massimizzare i loro profitti e aumentare il loro controllo sul processo.Infine, consideriamo le piattaforme come Uber Eats e simili. Non solo rilevano le abitudini alimentari dei consumatori (preferenze su ristoranti e supermercati, liste della spesa, ecc.), ma restringono anche le opzioni disponibili. In primo luogo, perché molte opzioni non sono rese disponibili su tali piattaforme e, in secondo luogo, perché queste opzioni possono essere organizzate e presentate in modo tale da favorirne alcune a discapito di altre. Questo è un mercato enorme che può avere implicazioni ugualmente enormi, specialmente nel Sud.CETRI: Potresti darci un'ultima parola sulla politica in questo campo messa in atto dagli Stati della regione, ad esempio in Indonesia, dove abiti? Kartini Samon: Il governo indonesiano si trova ancora nella fase in cui cerca di capire cosa sta succedendo. Pensa che l'e-commerce riguardi solo la vendita di beni e servizi su Internet e la considera una cosa positiva, soprattutto perché dovrebbe giovare alle piccole e medie imprese, che saranno così in grado di vendere i loro prodotti online e raggiungere molti più clienti. Recentemente, tuttavia, un rapporto governativo ha spiegato che il 90% delle merci scambiate su Internet in Indonesia erano merci importate e solo il 10% era prodotto localmente. Inoltre, bisogna considerare anche i numerosi investimenti esteri in questo settore. Una delle più grandi piattaforme di vendita online del paese, Lazada, è di proprietà di Alibaba. Un altro, Grab, ha sede a Singapore. E l'Indonesia è uno dei mercati in più rapida crescita per l'e-commerce. Tuttavia, il governo si rende conto con un po' di ritardo di non disporre di regolamenti adeguati per garantire, ad esempio, un equilibrio tra lo scambio di merci importate e la produzione locale, né per determinare chi è responsabile in caso di controversia. Il boom in Indonesia è legato all'emergere di una classe media abbastanza ampia, soprattutto nelle grandi città, che sono attratti dai prezzi estremamente bassi offerti da queste piattaforme. Ma come fanno ad offrire prezzi così bassi? Come possiamo combattere questa competizione, sapendo che questi nuovi consumatori avranno difficoltà ad accettare che stiamo attaccando una forma di commercio che consente loro di consumare molto a poco prezzo? 1 Equity and social justice in a digital world – An inter sectoral/movements dialogue for a digital justice agenda. Questo meeting è stato organizzato congiuntamente dalla ONG indiana “IT for Change”, dal network anti-globalizzazione “Our World is not for Sale” e dal think tank “Focus on the Global South “. 2 Ricercatrice presso il CETRI-Centre tricontinental (www.cetri.be).