L’autonomia degli Stati africani sulle politiche in materia di sementi è limitata dagli accordi commerciali – quali gli accordi di libero scambio o i trattati di investimento – firmati dagli Stati. Certamente, in linea di principio, ogni Stato è sovrano quando si tratta di firmare o meno tali accordi; tuttavia, molto spesso essi si sono trovati obbligati a concluderli per ragioni finanziarie, geopolitiche, di sicurezza o di altra natura. Nel giugno del 2016, GRAIN pubblicò uno studio di riferimento relativo a tali accordi, prendendo in considerazione sia quelli già sottoscritti sia quelli ancora in fase di negoziazione (vedi “Trade agreements that privatise biodiversity outside the WTO, Annex 1”). Ad oggi, come si è evoluta la situazione?
Gli accordi di libero scambio rappresentano un potente strumento per esercitare pressioni al fine di privatizzare le sementi e la conoscenza delle persone riguardo ad esse. Mentre le organizzazioni contadine e i gruppi della società civile possono considerare i semi come un “bene comune” o un “patrimonio comune delle comunità al servizio dell’umanità”, le multinazionali del settore delle sementi hanno una visione diversa dei fatti. Nel 1995, l’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organisation, WTO) fu creata per mettere in atto un sistema di norme specifiche per il commercio internazionale, tra cui la proprietà intellettuale, che viene utilizzata dai paesi ricchi per estendere le “loro” leggi in materia di brevetti e il sistema di diritti sulle nuove varietà vegetali (plant breeders’ rights) ad altri continenti. Dunque, il WTO richiede che tutti i suoi membri firmatari rilascino brevetti su tutti i tipi di invenzioni, ammettendo pochissime eccezioni, incluse piante e animali. Le varietà vegetali, tuttavia, devono essere subordinate ad una qualche forma di diritto brevettuale.
In questo modo, il WTO ha dato il via alla privatizzazione delle sementi. Se le norme stabilite non vengono rispettate, vi è il rischio di incorrere in sanzioni pari a milioni di dollari poste dagli altri Stati membri. Tuttavia, l’accordo del WTO è ambiguo: le modalità con cui proteggere le varietà vegetali, infatti, non sono definite con precisione e, per questo motivo, i paesi ricchi hanno cominciato ad imporre le proprie norme attraverso accordi di libero commercio negoziate al di fuori del WTO.
Osserveremo, dunque, le pressioni che vengono esercitate sul continente africano e che potrebbero distorcere ogni tentativo di implementare leggi più rispettose dei diritti degli agricoltori.
Atto di crescita e opportunità per l’Africa
Nel 2000, il governo degli Stati Uniti d’America adottò l’Atto di crescita e opportunità per l’Africa (African Growth and Opportunity Act, AGOA). Attraverso tale politica, Washington offre importanti vantaggi commerciali, quali la riduzione delle tariffe sulle importazioni negli Stati Uniti, ad alcuni Stati africani potenziali beneficiari. [1] Tali vantaggi sono molto apprezzati dagli esportatori di certi prodotti, ad esempio il superamento i limiti posti dal WTO sulla proprietà intellettuale. Ciò significa che gli Stati Uniti possono, in ogni momento, limitare i vantaggi commerciali dei loro partners africani, a seconda della misura in cui i brevetti sulle sementi vengono rispettati.
Trattati Bilaterali di Investimenti
I Trattati Bilaterali di Investimenti (Bilateral Investment Treaties, BITs) sono accordi tra Stati che istituiscono diritti e privilegi che gli investitori di uno Stato possono detenere in un altro Stato. Ad oggi, vi sono più di 3500 BITs in corso. Nella maggior parte di questi, i brevetti e la protezione delle varietà vegetali sono esplicitamente identificati come investimenti da dover proteggere. Ciò implica che ogni violazione dei diritti di cui sono titolari le multinazionali delle sementi che investono all’estero nel quadro di tali accordi è attuabile – sia che i paesi in cui esse operano abbiano legislazioni applicabili o meno. In Africa, per esempio, Israele firmò un Trattato Bilaterale di Investimento con l’Etiopia per affermare i diritti dei costitutori di varietà vegetale (plant breeders) israeliani in Etiopia, nonostante il governo etiope non avesse una normativa in materia di protezione della varietà vegetale.
Accordo di Cotonou
Le relazioni economiche tra l’Unione Europea e le ex colonie in Africa, nei Caraibi e nel Pacifico (ACP) sono governate da convenzioni quadro negoziate ogni vent’anni. L’Accordo di Cotonou, chiamato così perché firmato in Benin, è il più recente tra gli accordi di questa tipologia. In vigore dal 2000, esso stipula che i paesi ACP e Bruxelles debbano negoziare un Accordo di Partenariato Economico (APE) come un trattato di libero scambio per sostituire gli accordi preferenziali raggiunti fino a quel momento, con il pretesto che il WTO lo aveva richiesto. [2] Nel 2018, i paesi ACP inizieranno a negoziare un accordo che sostituirà l’Accordo di Cotonou a partire dal 2020, annunciando la propria determinazione a ritornare ad un sistema di scambio preferenziale. È un buon inizio, ma cosa succederà agli Accordi di Partenariato Economico che andranno presto ad aggiungere un capitolo sui diritti di proprietà intellettuale, incluse le sementi.
Accordi di partenariato economico
All’inizio delle negoziazioni degli APE tra l’Unione Europea con l’Africa, una richiesta dalla parte europea, tra le altre, fu che i governi africani adottassero leggi conformi alle norme stabilite dall’Unione per la Protezione delle Novità Vegetali (UPOV) e sottoscrivessero la Convenzione UPOV. [3] Il sistema UPOV è molto vicino alla brevettabilità e completamente orientato ai bisogni dell’agricoltura industriale. Tale requisito fu poi abbandonato, insieme all’intero capitolo sulla proprietà intellettuale. Al suo posto, fu aggiunta una clausola secondo cui, trascorsi cinque anni dalla sottoscrizione dell’accordo, i paesi firmatari si sarebbero riuniti nuovamente per concludere un capitolo sulla proprietà intellettuale. Dunque, se si osserva l’APE firmato con i paesi caraibici, che fino ad ora è l’unico APE completo, risulta evidente che il requisito di adesione all’UPOV verrà riproposto. Pian piano, i governi africani si trovano sul punto di piegarsi a tale richiesta. [4]
Accordi tripartiti di libero scambio
Uno dei sogni dei leaders africani è il raggiungimento dell’integrazione regionale nel proprio continente. Ciò significherebbe, in primo luogo, il raggiungimento da parte delle sub-regioni, inclusa l’Africa occidentale, di un certo grado di cooperazione e armonizzazione di politiche che siano concretamente a vantaggio dei loro popoli. In secondo luogo, ciò si tradurrebbe in un’integrazione continentale. Gli accordi commerciali sono parte di questi processi. Nel 2016, un accordo tripartito di libero scambio fu firmato tra tre blocchi sub-regionali: la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Southern African Development Community, SADC), la Comunità dell’Africa orientale (East African Community, EAC) e il Mercato comune dell’Africa orientale e meridionale (Common Market for Eastern and Southern Africa, COMESA). Per il momento, questo mercato armonizzato tra i tre blocchi riguarda solo il movimento di beni, ma si sta estendendo anche al mercato dei servizi e alle politiche commerciali. In altre parole, il rischio che tale accordo, una volta ratificato dai 26 paesi, armonizzerà le regole sulla proprietà intellettuale è reale, soprattutto dal momento che SADC e COMESA hanno appena adottato i propri protocolli sulla privatizzazione delle sementi. [5]
Accordo continentale di libero scambio
La ratifica dell’accordo tripartito di libero scambio dovrebbe essere seguito dall’adozione di un Accordo continentale di libero scambio (Continental Free Trade Agreement, CFTA) tra tutti i 53 membri dell’Unione Africana. Tale accordo si sarebbe dovuto concludere nel 2017, ma ha subito ritardi. Proprio come il suo predecessore accordo tripartito, non vi è dubbio che il CFTA si traduca in un’armonizzazione delle norme che disciplinano le sementi. Ciò è possibile soprattutto in considerazione del fatto che l’Unione Africana ha recentemente creato l’Organizzazione Pan-Africana della Proprietà Intellettuale (PAIPO). Il mandato di quest’ultima è quello di lavorare a stretto contatto con l’Organizzazione Africana della Proprietà Intellettuale nell’Africa francofona e l’Organizzazione Africana Regionale della Proprietà Intellettuale nell’Africa anglofona, in modo da istituire e promuovere nuove regole in materia di proprietà intellettuale sulla biodiversità e le conoscenze tradizionali in Africa. [6]
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Fino ad ora, tutti questi progetti riguardanti l’integrazione e la standardizzazione sono stati trattati con un approccio “top-down”, dall’alto verso il basso, dalle élites al potere, siano esse gli Stati, organizzazioni quali l’Unione Africana, commissioni di esperti, investitori, finanziatori, etc. È enorme, dunque, il rischio che i più recenti accordi costituiranno un trampolino di lancio per grandi aziende produttrici di sementi – tre delle quali, da sole, controllano il 60% del mercato mondiale – per ottenere la proprietà e il controllo dell’offerta di sementi in Africa. Tali compagnie non cercano altro se non la sostituzione delle sementi degli agricoltori africani con le proprie varietà commerciali.
È assolutamente essenziale che questi processi “top-down” per riformulare le norme relative alle sementi vengano trasformati in processi realmente partecipativi e “bottom-up”, promossi dal basso verso l’alto, per beneficiare le comunità i cui diritti sociali ed ambientali sono stati per troppo tempo danneggiati dalle multinazionali e dai loro alleati, con il pretesto di “portare sviluppo” ai popoli africani.
Traduzione di Chiara Pontillo
Riferimenti:
[1] Tra i 38 paesi potenziali beneficiari, circa una dozzina sono nazioni dell’Africa occidentale: Benin, Burkina Faso, Ghana, Guinea Bissau, Costa d’Avorio, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Togo. Vedi http://agoa.ga/infos-agoa/liste-des-pays-eligibles-a-lagoa
[2] Gli accordi preferenziali riducono i dazi d’importazione per determinati prodotti provenienti da determinati paesi, mentre gli accodi di libero scambio aprono maggiormente i mercati in maniera reciproca. In fatti, il WTO prevede delle eccezioni al suo sistema generale di libero scambio. Tuttavia, Bruxelles voleva procedere con un programma di liberalizzazione del commercio e di investimenti in favore delle compagnie europee. Vedi “FTAs and agriculture”, Nyeleni Bulletin, March 2017: https://nyeleni.org/spip.php?page=NWrub.en&id_rubrique=180
[3] Vedi “Draft EU-ECOWAS EPA” di Aprile 2007: http://www.bilaterals.org/?projet-d-ape-ue-cedeao-avril-2007
[4] Vedi GRAIN, “Colonialism's new clothes: The EU’s Economic Partnership Agreements with Africa”, Against the grain, 21 Augosto 2017: https://www.grain.org/e/5777
[5] Vedi AFSA e GRAIN, “Land and seed laws under attack: who is pushing changes in Africa?”, Gennaio 2015: https://www.grain.org/e/5121
[6] L’armonizzazione degli standard è il principale obiettivo dell’agenzia. Vedi il suo statuto: http://austrc.org/docs/paipo/PAIPO%20Statute-E.pdf